Breve videopresentazione di Claudia Colpo, introduttiva all’intervista che segue
Come hai vissuto i mesi della prima ondata di Covid e come ha influito sul tuo percorso didattico?
Negli USA alcuni Stati hanno acconsentito a un lockdown di due settimane, ma il Tennessee ha deciso di prendere solo misure cautelative: riduzione degli orari dei supermercati (con due ore mattutine dedicate agli anziani), limitazione per gli spostamenti consigliata e limitazione o annullamento degli eventi pubblici o generalmente affollati (le messe venivano fatte online). L’università ha iniziato a fare didattica a distanza da marzo, ancora prima che ci fossero casi certificati di docenti o alunni positivi. Nonostante all’inizio non fosse considerata un vero problema di cui preoccuparsi, con l’aumento dei contagi e delle morti tutte le varie facoltà hanno iniziato a svolgere lezioni online.
Per quanto riguarda il percorso didattico, invece, ho avuto diversi problemi legati ad una regola in particolare: gli studenti stranieri devono garantire 12 crediti in campus, che vengono ottenuti tramite la frequenza alle lezioni in presenza con classi da 3 crediti. Con la didattica a distanza si è capita la necessità degli studenti di non poter lasciare il paese ma non poter allo stesso tempo avere 12 crediti in presenza, quindi questa regola è stata bloccata a livello nazionale. L’ICE (United States Immigration and Customs Enforcement) ha accettato la modifica, ma solo come situazione temporanea. Il problema dei crediti è tornato ad agosto.
Tuttavia, la decisione della sospensione della regola non è stata immediata: io e molti miei colleghi stranieri ci siamo ritrovati a modificare più volte la nostra scelta di corsi, per cercare di integrare i 12 crediti in presenza, per poi ritornare sui nostri passi non appena le classi sono tornate tutte online. Non avevamo notizie riguardati la possibile proroga del blocco da parte dell’ICE e tra noi studenti stranieri è iniziata a circolare la paura di perdere il visto per motivo di studio.
Sono iniziate a circolare diverse petizioni, che firmavo e condividevo. Persino Harvard e l’università del Michigan hanno fatto causa all’ICE per non perdere i loro studenti stranieri (anche perché questi pagano una retta considerevole). Questo ha portato ad una proroga a tempo indeterminato del “blocco dei 12 crediti”, per evitare la necessità di dover fare lezioni in presenza e diffondere il virus. Questa situazione è tutt’ora precaria, non si hanno ancora notizie per il prossimo semestre che avrà inizio il 17 gennaio.
Non essendo una studentessa del primo anno sarei potuta tornare in Italia e poi negli USA, ma per le matricole la possibilità di ricevere nuovamente un visto al loro rientro (dato che le classi erano online) era ridotta. In questo caso gli studenti atleti sono stati molto avvantaggiati perché i loro coach facevano pressioni per permettergli di spostarsi senza rischi.
Sei stata in qualche modo discriminata a causa delle tue origini italiane, quando l’Italia era vista come “paese untore” dell’Europa?
Io mi sono auto isolata nonostante fosse solo consigliato di non uscire ed evitare gli assembramenti proprio perché avevo un contatto con l’Italia e sapevo già quanto grave fosse la situazione. Non ho subito discriminazioni perché “bianca”, anche se italiana, e ho cercato di fare informazione tra i miei coetanei e colleghi. Delle ragazze di origini orientali con cui ho parlato sono state colpevolizzate, la Cina e i cinesi sono stati demonizzati e chiunque avesse tratti asiatici veniva etichettato come untore. La mia host-sister è stata aggredita verbalmente perché l’hanno scambiata per un’asiatica: aveva la musica coreana in stereo, indossava la mascherina ferma al semaforo e un uomo le ha urlato “torna indietro al tuo paese, cinese”.
L’università è l’unico luogo liberale e progressista in questa zona, gli studenti del campus non si sentono in pericolo o denigrati al loro interno, ma non appena devono uscire da questo spazio sicuro si pone il problema della discriminazione. Persino con le seconde o terze generazioni.
Come hai vissuto tu il clima pre e post elezioni?
Io l’ho vissuto pesantemente: lavoro e pago le tasse, l’assicurazione, … ma non posso votare, quindi sentivo il peso di una decisione che mi avrebbe riguardato e che avrebbe influito enormemente nella mia vita, ma alla quale non potevo partecipare. Persino un mio amico cubano chi si è sposato l’anno scorso con un ragazzo americano e ha così potuto avere la green card, che limita i diritti pur riconoscendoti come cittadino americano, non ha potuto votare. Persino le persone vicino a me supportavano Trump, nonostante fosse contro me come donna e come migrante, ma mi accettavano perché “io ero legale”, non sapendo però distinguere chi fosse legale o meno tra le varie categorie di migranti.
Quando sono venuta qui la prima volta, nel 2016, non mi interessavo molto alla politica ma ho notato come diverse persone che conosco, come la mia famiglia ospitante, si siano “estremizzate” con il tempo e siano state influenzate dai discorsi negazionisti di Trump contro il Covid. In questo Facebook e le piattaforme social hanno giocato un ruolo essenziale per la diffusione di fake news. Così anche per l’omosessualità, l’aborto e tutti gli argomenti rivalutati da Trump, che cambiava spesso le sue idee.
Queste nuove elezioni sono state una ventata di positività. I supporter di Trump sono stati fuori dalle zone elettorali armati, per evitare i brogli, urlando “stop counting votes” come richiesto dal loro presidente ma non ci sono state grandi proteste successive. Tuttavia, la questione è ancora in sospeso perché Trump non ha ancora ammesso la vittoria di Biden. C’era e c’è tutt’ora paura nel dire che hai votato per Biden negli stati rossi. I supporters di Biden, invece, non sono presenti nella mia zona e quindi non ho assistito né partecipato ai festeggiamenti. Anche tra chi ha votato Biden, molti non sono suoi veri e propri supporters, ma hanno scelto chi era contro Trump per ricercare un cambiamento.
Come hai vissuto il movimento Black Lives Matter?
Ho cercato di spiegare la situazione ai miei host-parents, il fatto che ci sia ancora una netta disuguaglianza e discriminazione razziale non era un argomento di dibattito o qualcosa di cui la maggior parte della popolazione fosse informato. Si dava per scontato che “il problema della razza” non esistesse più. Inizialmente si sono detti d’accordo con me, ma non appena il BLM è diventato di maggiore importanza la loro opinione è cambiata nell’all lives matter.
Non ho potuto partecipare alle proteste per via del Covid e della brutalità della polizia: alcune persone sono state arrestate per la notte, altre sono finite in ospedale e per me avrebbe significato rischiare di perdere il visto. Se la persona vicino a me avesse fatto qualcosa di “sbagliato” ci sarei andata di mezzo anche io. In una città qui vicino la protesta si è prolungata oltre l’orario preannunciato, una ragazza (bianca) che conosco è stata presa da un poliziotto e buttata a terra, cercava di coprirsi perché cadendo gli si era alzata la maglietta ma la tenevano immobilizzata con un ginocchio sulla schiena, l’hanno ammanettata e portata in questura. La manifestazione pacifica è stata soppressa con la violenza, nulla era stato danneggiato dai partecipanti. Ho visto ragazzi con mascherine e cartelli di BLM che venivano insultati per strada.
Vari coach della mia università hanno organizzato una manifestazione coinvolgendo le loro squadre sportive e i social sono diventati un luogo sicuro in cui cercare di promuovere gli ideali del movimento, fare informazione e formazione e denunciare la situazione di pericolo che si creava con gli scontri delle proteste.
Gli episodi di razzismo ci sono sempre. All’interno del campus della mia università c’è un muro in memoria delle morti delle persone di colore che è stato riempito di volantini con su scritto “all lives matter”, ma questi episodi sono stati repressi e puniti. Spero che il nuovo presidente riesca a fare qualcosa per migliorare l’inclusione razziale e appianare le disuguaglianze.
Intervista a cura di Laura Pisano, novembre 2020