L’uomo non si è voluto fermare ai limiti della sua stessa esistenza condividendo con le altre forme del vivente il pianeta che ci accoglie tutti. Come un cattivo ospite, irriguardoso delle regole immutabili della casa comune, ha voluto modificarle sino a pretendere di diventare l’unico e indiscusso padrone.
Per questo siamo arrivati a creare un nuovo continente fatto dei nostri stessi rifiuti che galleggia in mezzo all’oceano come simbolo di questa tragica attitudine distruttiva. Ma a ogni pezzo di quella plastica alla deriva c’è attaccato un naufrago, e questi siano tutti noi, persi nel non senso di una esistenza che si riconosce solo in ciò che consuma.
Ma la vita ci sta chiedendo ragione di noi stessi, e oggi, di fronte alla pandemia di Covid-19, la risposta non può essere solo scientifica ma esistenziale, come forse la solitudine imposta dall’emergenza ci sta insegnando. Peggio della pandemia, dunque, non ci sarebbe che sprecarne le lezioni che possiamo trarne. Di tutto questo il continente di plastica ci può parlare, se lo ascoltiamo.