A cura di Fridays For Future Valle d’Aosta
Impatto sul clima e politiche ambientali (focalizzazione sull’Australia)
FONTI: Greenpeace, Climate Change Performances Index
L’ Oceania, o ‘’continente nuovissimo’’, comprende Polinesia, Melanesia, Micronesia, Nuova Guinea, Australia e Nuova Zelanda.
Per quanto riguarda la politica climatica, l’Australia si colloca ultima su 57 paesi responsabili del 90% delle emissioni di gas serra ed è uno dei maggiori esportatori di carbone al mondo. Le previsioni del riscaldamento globale, basate sugli attuali piani globali per ridurre le emissioni di gas serra, mostrano un futuro catastrofico con temperature destinate a salire tra 2,9 ° C e 3,4 ° C entro il 2100.
Il paese (situato al 56° posto nel CCPI, ‘’Climate Change Performances Index’’, dell’anno 2019) continua a ricevere valutazioni molto basse nella categoria ‘’Uso dell’energia’’ e si colloca all’ultimo posto tra i risultati più bassi in entrambe le categorie ‘’Emissioni di gas serra’’ ed ‘’Energia rinnovabile’’. Gli esperti nazionali osservano una mancanza di progressi in queste aree in quanto il governo non riesce a chiarire come raggiungerà l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 2030, sommato all’inazione nello sviluppo di una strategia di mitigazione a lungo termine. Inoltre, continua a promuovere l’espansione dei combustibili fossili e, nell’aprile 2019, ha approvato l’apertura della controversa miniera di carbone Adani.
Gli esperti notano che il nuovo governo è una forza sempre più regressiva nei negoziati ed è stato criticato per la sua mancanza di ambizione da diverse nazioni delle isole del Pacifico nel contesto del Forum delle isole del Pacifico del 2019. Il licenziamento dei recenti rapporti dell’IPCC, la mancata partecipazione del governo al vertice sull’azione per il clima delle Nazioni Unite a settembre e il ritiro dal finanziamento del Fondo verde per il clima (GCF) sono alla base della performance complessiva molto bassa nella categoria della politica climatica.
Incendi in Australia
FONTI: BBC, BOM, Wikipedia, The Guardian
Gli incendi boschivi in Australia non sono certamente una novità ma sono infatti un evento piuttosto diffuso e regolare che ha contribuito a plasmare in modo significativo la natura del continente nel corso di milioni di anni. A dimostrazione di ciò riportiamo il grafico a sinistra che mostra gli incendi dal 1900. Tuttavia, negli ultimi anni si sta assistendo a un grave peggioramento causato soprattutto dal surriscaldamento globale. Le vittime e le conseguenze sulle abitazioni possono sembrarci ridotte rispetto agli incendi del 2009, ma parliamo comunque di un elevato numero di distruzione di vite umane e centri abitati, inoltre questo grafico non tiene conto dei miliardi di vittime animali.
Per di più, secondo il BOM (Bureau of Meteorology) nel 2019, anno record più caldo per l’Australia, si è assistito a temperature che arrivavano anche a 45°C. Ciò ha causato danni di massa in tutto il paese.
Gli incendi più distruttivi sono solitamente preceduti da temperature estreme, bassa umidità relativa e forti venti, che si combinano per creare le condizioni ideali per la rapida diffusione del fuoco.
Fino alla stagione australiana degli incendi boschivi 2019-2020, si pensava che le foreste australiane riassorbissero tutto il carbonio rilasciato negli incendi boschivi in tutto il paese. Tuttavia, gli scienziati ora affermano che il riscaldamento globale sta facendo bruciare gli incendi più intensamente e frequentemente e credono che gli incendi del 2019-2020 abbiano già rilasciato circa 350 milioni di tonnellate di anidride carbonica – ben due terzi delle emissioni medie annuali di anidride carbonica australiane tra ottobre e dicembre 2019. David Bowman, professore di pirogeografia e scienze del fuoco all’Università della Tasmania, ha avvertito che sono stati fatti così tanti danni che le foreste australiane potrebbero richiedere più di 100 anni per assorbire di nuovo il carbonio che è stato rilasciato finora in questa stagione degli incendi. Nel gennaio 2020, il Met Office britannico ha affermato che gli incendi boschivi in Australia nel 2019-2020 dovrebbero contribuire per il 2% all’aumento della concentrazione atmosferica dei principali gas serra che si prevede colpiranno 417 parti per milione, uno dei maggiori aumenti annuali di anidride carbonica atmosferica mai registrato. Gli studi sul clima mostrano che le condizioni che promuovono incendi estremi in Australia peggioreranno man mano che più gas serra verranno aggiunti all’atmosfera.
A cura di Zeta
L’innalzamento del livello del mare
FONTI: www.abc.net.au / GREENPEACE / National Geographic
Il livello medio globale del mare è aumentato, mediamente, di 19 centimetri all’anno dal 1961 al 2010; gli eventi estremi a esso relazionati, inoltre, sono diventati circa tre volte più frequenti durante il XX secolo.
Ricercatori dell’IPCC prevedono che gli oceani aumenteranno, in media, di circa 70 centimetri entro la fine di questo secolo se riduciamo rapidamente le nostre emissioni, e di circa 1 metro se non lo facciamo. È stato inoltre stimato il rischio di perdere circa il 40% delle spiagge australiane nei prossimi 80 anni, e con “perdere” si intende che esse si ritireranno di oltre 100 metri. Gli studiosi hanno concluso che, tra tutti i paesi del mondo, l’Australia perderà la più vasta costa sabbiosa: vale a dire più di 12.000 chilometri, oppure fino a 15.439 chilometri se non si riducono le emissioni attuali.
Le principali conseguenze dell’innalzamento del livello del mare sono: aumento delle inondazioni delle zone costiere basse, erosione costiera, perdita di spiagge, ma anche mareggiate che raggiungono i luoghi più elevati, colpendo dunque sempre più direttamente le comunità e le infrastrutture costruite dall’uomo.
Per quel che riguarda l’Australia, è da notare una crescente concentrazione di abitazioni e industrie lungo la costa: oggi, circa l’85% della popolazione vive entro 50 km dalla costa. Inoltre, un numero sempre più significativo di infrastrutture australiane, come le reti di trasporto e di comunicazione, si trova vicino ai centri abitati costieri. È quindi probabile che le inondazioni costiere e le tempeste sempre più frequenti danneggino strutture essenziali, causando l’interruzione dei servizi da esse forniti.
In Australia, gli ecosistemi costieri più influenzati dall’innalzamento del livello del mare sono le spiagge, le barriere coralline e altri ambienti esposti alle maree, come gli estuari e le zone umide.
Ecco quali sono le due più rilevanti strategie individuate al fine di affrontare l’innalzamento del livello del mare:
- Uno studio pubblicato su Science nel 2019 ha riportato che si dovrebbe iniziare immediatamente la pianificazione di un “ritiro misurato e strategico” dalle aree costiere più a rischio. Se trascurato fino all’ultimo, un piano di questa scala risulterebbe assai più costoso, meno ordinato e con alti rischi di inefficacia.
- Un’altra tattica considerata valida per far fronte all’innalzamento del livello del mare è la costruzione di dighe e di altre infrastrutture. Sarebbero però necessarie grandi spese, poiché le dighe sono solo temporanee e devono essere monitorate, e il ripristino delle spiagge non è fattibile in vaste aree della costa.
Quel che è certo è la necessità che il governo, l’industria e la comunità collaborino nel considerare il pericolo reale e nel provvedere affinché la minima quantità di danni sia arrecata agli ecosistemi e alle infrastrutture a rischio.
A cura di Margherita Facchini