A cura di Fridays for Future – Valle d’Aosta
Impatto sul clima: dagli allevamenti intensivi all’agricoltura
Stefano Liberti, giornalista e scrittore italiano, afferma: “Gli allevamenti intensivi – i capannoni dove gli animali sono rinchiusi, fatti ingrassare, trattati con antibiotici per evitare che si ammalino, infine inviati alla macellazione – sono qualcosa che nessuno vuole vedere. Paradossalmente, mentre cresce il consumo di carne a livello globale, aumenta la distanza fisica e anche cognitiva tra noi esseri umani e gli animali di cui ci nutriamo“.
Procediamo però con ordine e capiamo come nascono gli allevamenti intensivi. Nel 1923 Celia Steele, una piccola imprenditrice agricola di Oceanview, ricevette 500 pulcini anziché i 50 che aveva ordinato. Così, non volendo disfarsene, li rinchiuse in un mini-capannone, li nutrì di semi di mais e integratori e gli animali resistettero per tutto l’inverno. Penso di replicare l’operazione e diventò milionaria. Da allora, diversi hanno seguito l’esempio di Celia e i polli sono allevati nei capannoni e nutriti di mais, senza mai vedere la luce del sole.
Oggigiorno si parla spesso di sovrappopolazione e si insiste sul fatto che nel 2050, secondo le previsioni della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), saremo 9 miliardi. Ma si parla molto poco della sovrappopolazione animale, che ha degli effetti devastanti sulle risorse del pianeta, sull’utilizzo delle terre e dell’acqua, oltre a produrre quantitativi notevoli di gas a effetto serra.
Secondo i dati LAV (Lega Anti Vivisezione), solo nell’Unione Europea ogni anno vengono allevate circa 400 milioni di galline ovaiole, il 70% delle quali viene allevato in batteria. Anche in Italia, dei 42 milioni di galline allevate l’80% vive in luoghi ristrettissimi, ammassate le une sulle altre senza aver mai avuto contatto con la terra o con l’erba e senza la possibilità di aprire le ali.
Un altro dato significativo è che, secondo le stime della FAO, nel 2018 sono state prodotte più di 120 milioni di tonnellate di polli.
E cosa possiamo dire a proposito dell’agricoltura invece?
Secondo l’OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), l’agricoltura contribuisce a una quota significativa delle emissioni di gas serra che stanno causando il cambiamento climatico (il 17% direttamente attraverso le attività agricole e un ulteriore 7-14% attraverso i cambiamenti nell’uso del suolo).
Le principali emissioni agricole dirette sono le emissioni di protossido (di azoto dal suolo e fertilizzanti) e la produzione di metano (da ruminanti e dalla coltivazione del risone). Entrambi questi gas hanno un effetto di riscaldamento globale significativamente più elevato rispetto all’anidride carbonica.
Ma gli effetti non si fermano qui. Anche il cambiamento climatico porta delle conseguenze a sua volta sull’agricoltura e perciò si viene a creare un circolo infinito di effetti senza, apparentemente, possibilità di uscita. È quindi necessario un intervento che limiti e risolva questo problema.
Basti pensare che, secondo la FAO, le emissioni di gas serra provenienti dall’agricoltura e dall’allevamento sono passate dai 4,7 miliardi di tonnellate equivalenti di biossido di carbonio (C02 eq)* nel 2001 a oltre 5,3 miliardi di tonnellate nel 2011, con un aumento del 14% verificatosi soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
Note: *l’equivalente di biossido di carbonio è una misura utilizzata per comparare differenti gas serra
Alcuni dati per capire l’importanza del continente americano nell’esportazione, e in generale nel settore dell’allevamento intensivo e dell’agricoltura
Fonti: FAO
Il continente americano è quello che ha il maggior controllo del mercato mondiale della carne e dei prodotti agricoli, infatti alcuni suoi stati primeggiano nell’esportazione e spesso anche nella produzione dei beni in questione, in particolare emergono gli Stati Uniti, il Canada, il Brasile e l’Argentina. Questo viene dimostrato da degli studi del FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) che analizzano la situazione mondiale di produzione, importazione ed esportazione di alimenti e prodotti agricoli.
Nello studio del mercato globale della carne nel 2019, scritto nell’aprile 2020, si può leggere che il maggiore esportatore di carne bovina in quell’anno è stato proprio il continente americano con l’esportazione di circa 6 milioni di tonnellate, seguito dall’Oceania con circa 2 milioni di tonnellate, sulle 11 milioni totali nel mondo. Lo stato che ha contribuito maggiormente è il Brasile, seguito dagli Stati Uniti. Anche nel campo della carne suina e della carne di pollo l’America rimane il maggior esportatore con 5 milioni e mezzo di tonnellate esportate, seguita dall’Europa con circa 4 milioni di tonnellate, sulle 10 milioni totali. Qui gli Stati Uniti seguiti da Canada e Brasile sono quelli che hanno influito maggiormente al raggiungimento di questi numeri. La carne di pollo non cambia gli equilibri finora visti, infatti il continente americano ha esportato circa 8 milioni e mezzo di tonnellate nel 2019, seguita dall’Europa con 2 milioni e mezzo, sulle 14 milioni totali. In questo caso gli stati più importanti sono stati il Brasile, seguito dagli Stati Uniti. Nel resoconto della carne in generale l’America è la maggiore esportatrice con circa 21 milioni di tonnellate, seguita dall’Europa con circa 7 milioni, sulle 36 milioni totali.
Nello studio biennale del mercato globale del cibo, effettuato a maggio 2019, si riportano i dati sui cereali e gli altri prodotti agricoli: viene riportato che il continente americano nel 2018 ha esportato 66 milioni di tonnellate di grano, secondo solo all’Europa con 74 milioni, rispetto alle 170 milioni esportate nel mondo. Gli stati che risaltano di più in questo caso sono gli Stati Uniti e il Canada. Riguardo al grano duro l’America ha raggiunto le 125 milioni di tonnellate, seguita dall’Europa con 50 milioni, sul totale mondiale di 194 milioni. Qui gli stati che hanno influito di più sono stati gli Stati Uniti, seguiti da Brasile e Argentina. Anche nel granturco la situazione non stupisce, infatti l’America raggiunge le 115 milioni di tonnellate, seguita dall’Europa con 35 milioni, sulle 160 milioni totali. In questo caso i paesi con la maggiore esportazione sono stati gli Stati Uniti seguiti dal Brasile e l’Argentina. Nel resoconto generale dell’esportazione di cereali il continente americano raggiunge le 190 milioni di tonnellate, seguita dall’Europa con 125 milioni, su un totale mondiale di 411 milioni. Inoltre, sempre degli studi del FAO dimostrano che il Brasile è il più grande esportatore di caffè al mondo, e lo era anche del cacao prima che una diffusione di funghi devastasse le coltivazioni.
Questi studi dimostrano come l’America abbia un enorme impatto nel mercato di carne e prodotti agricoli, essendone sia un grande produttore che un grande esportatore; questo oltre che dimostrare l’enorme impatto ambientale che questo continente crea con l’allevamento e l’agricoltura, evidenzia il controllo che ha nell’economia di questi settori.
Ruolo degli stati dell’America del Sud nella produzione
Fonti: NATIONAL GEOGRAPHIC / IPCC / GREEN PEACE / ESA
Le terre agricole costituiscono il 19% della superficie terrestre in Sud America, dove l’agricoltura è un settore chiave nell’economia poiché il 40% della popolazione attiva lavora nei campi.
Molti raccolti prosperano in Sud America grazie al clima tropicale, tra questi quelli di anacardi e noci brasiliane. Molto importanti per l’economia sono inoltre le piantagioni di caffè e cacao: il Brasile è il più grande esportatore di caffè al mondo, e lo era anche del cacao prima che il primato passasse all’Africa. Le aree del Sud America con clima temperato sono sede di molti raccolti industriali, per esempio di mais e soia, e di allevamento di bestiame. Anche i deserti, sottoposti ad abbondante irrigazione artificiale, contribuiscono all’agricoltura estensiva. Altri prodotti esportati dal Sud America sono il legname, i trucioli di legno, il compensato e altri ancora.
Il Brasile è il paese con la più alta perdita di foreste al mondo secondo uno studio dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) condotto nel 2010: 21.940 km2/anno, equivalente al 39% della deforestazione mondiale per il periodo 2005-2010.
La deforestazione e il degrado del suolo sono attribuiti principalmente all’aumento dell’agricoltura estensiva e intensiva. Due attività hanno tradizionalmente dominato l’espansione agricola: la produzione di soia e la carne bovina.
Approfondimento Argentina
L’Argentina è un importante produttore, consumatore ed esportatore di carne bovina. Attualmente è il sesto Paese al mondo sia per numero di capi di bestiame che per produzione ed esportazione di carne. In seguito all’approvazione del “Piano Strategico Agroalimentare e Agroindustriale 2010-2020”, il governo argentino ha fissato l’obiettivo di aumentare la produzione di bestiame del 10%, che vorrebbe dire passare da 49 milioni a 54 milioni di capi (obiettivo che sta per essere raggiunto).
Nel 2015, il governo argentino ha eliminato le tasse sull’esportazione di carne bovina, e questo, in aggiunta alla svalutazione della valuta argentina, ha contribuito notevolmente all’aumento delle esportazioni. Tra il 2017 e il 2018, le esportazioni di carne argentina sono aumentate del 77%. I principali Paesi importatori sono stati: Cina (56%), Russia (11,5%), Cile (9,2%), Germania (6,8%), Israele (5,3%), Paesi Bassi (3,6%), Brasile (2,2%) e Italia (1,7 %).
IL MERCATO EUROPEO DELLA CARNE ARGENTINA
Recentemente l’Unione europea e il Mercosur – mercato comune dell’America del Sud di cui sono Stati membri Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela – hanno siglato un accordo di libero scambio che agevolerà un ulteriore incremento dell’importazione in Europa di materie prime agricole dal Sud America, con notevoli rischi per l’ambiente e i diritti umani. Tra i prodotti in questione ci sono infatti carne bovina, pollame e soia OGM (Organismo Geneticamente Modificato), prodotti che si collocano al primo posto fra le cause della distruzione delle foreste sudamericane.
In Europa vengono consumati ogni anno in media 85 chili di carne e 260 chili di prodotti lattiero-caseari pro capite, più del doppio della media globale. La richiesta di prodotti di origine animale ha portato l’UE a diventare il secondo principale importatore di soia (e derivati) a livello globale, che rappresentano il suo principale contributo alla deforestazione globale.
Nel 2018, l’Argentina è stata il secondo maggiore esportatore di carne in Europa, dopo il Brasile, mentre Secondo l’Osservatorio per il mercato delle carni della Commissione Europea, nei primi due mesi del 2019 è stata il principale fornitore in Europa di carne bovina fresca e macinata (10.000 tonnellate solo tra gennaio e febbraio, contro le 3.000 dal Brasile).
GRAN CHACO
Un’indagine di Greenpeace ha rivelato che grandi aziende argentine dedicate alla produzione e alla lavorazione di carne sono strettamente legate alla deforestazione del Gran Chaco.
Il Gran Chaco è la più grande foresta tropicale secca del Sud America e la seconda più grande foresta tropicale del continente dopo l’Amazzonia, copre un’area di oltre 1,1 milioni di km2 che si estende su Argentina, Paraguay e Bolivia.
Nel Gran Chaco si registra uno dei più alti tassi di deforestazione nel mondo, principalmente a causa dell’espansione indiscriminata delle piantagioni di soia geneticamente modificata e degli allevamenti. Secondo i dati del ministero dell’Ambiente argentino, tra il 1990 e il 2014, sono stati distrutti 7.226.000 ettari di foreste (una superficie equivalente a Olanda e Belgio messi insieme), dei quali l’80% si concentra in quattro province del nord del Paese: Santiago del Estero, Salta, Chaco e Formosa.
Ruolo degli stati dell’America del Nord nel consumo
Fonti: FOCUS.IT / BBC.COM / EC.EUROPA.EU
In base ai dati forniti dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura), l’Australia e gli Stati Uniti sono in testa alla classifica dei Paesi con il maggior consumo di carne. Ogni abitante di questi due Paesi è infatti stimato mangiare più di 100 kg all’anno, l’equivalente di circa 50 polli o mezza mucca ciascuno. Seguono poi l’Argentina, la Nuova Zelanda e numerosi Paesi dell’Occidente.
L’aumento nel consumo di carne è evidente in Paesi come il Brasile, dove negli anni ’60 la persona media consumava meno di 5 kg di carne all’anno e negli ultimi decenni è più che duplicato fino a superare i 60 kg.
Benché oggi molte persone in Europa e in Nord America sostengano di stare cercando di ridurre il consumo di carne, statistiche del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) hanno riportato che il consumo di carne pro-capite è continuato ad aumentare negli ultimi anni, approssimandosi nel 2018 al massimo raggiunto negli ultimi decenni.
Secondo il rapporto “Domanda e offerta alimentari globali, tendenze dei consumatori e sfide commerciali” pubblicato dalla Commissione Europea nel 2019, il Nord America e l’UE sono i maggiori consumatori di prodotti lattiero-caseari con entrambi circa 270 kg di latte equivalente pro capite all’anno. In Sud America, il consumo è cresciuto fino a 150 kg pro capite all’anno.
Per quel che riguarda il mais il Nord America è di gran lunga il maggior consumatore: considerando, oltre alla consumazione alimentare, anche il consumo di mais legato all’espansione della produzione di bestiame e più recentemente alla produzione di etanolo, si possono contare quasi 900 kg pro capite all’anno. Questa cifra è nettamente al di sopra dei 240 kg pro capite del Sud America e dei 140 kg pro capite dell’UE.