“Corea” di Claudia Cimmarusti

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Kyeran – un uovo

La malinconia e la tristezza che mi pesano addosso quando cammino per strada e ad occhi aperti sogno di essere seduta sul bus 470 direzione Sinsa Station sono difficili da mandare via. Ancora ricordo tutte le fermate, ancora sento gli annunci dell’autobus, la voce della macchinetta che avvisa che è stato vidimato il biglietto, gli sguardi curiosi e stupiti degli altri passeggeri quando ti sentono chiedere all’autista di ricaricare la tua tessera.

Ho vissuto a Seoul per solo 457 giorni, e rimarrà per sempre sulla mia pelle come un tatuaggio: gli odori, i sapori, i suoni, i colori; è tutto vivido nella mia memoria.

Ma perché mi è rimasta così impressa? In Corea io ci ho vissuto come studentessa e posso dire che è un parco giochi: ristoranti, centri commerciali, cinema, bar e pub ovunque. Rispetto ad altre città asiatiche non è asfissiante, sebbene ci siano palazzi altissimi, tra uno e l’altro si vede il cielo e non ti senti soffocare (queste sono le parole che le mie amiche di Singapore e Hong Kong hanno usato quando eravamo sedute su una panchina al parco di Yeouiaru con i grattacieli alle spalle, un parco immenso ai nostri lati e davanti il profilo di Seoul che si affaccia sul fiume Han). 

Dopo un po’ che abitavo lì, guardavo me stessa allo specchio e non riconoscevo più il mio viso. Si dice che quando si parla in una lingua straniera, cambia la personalità e io credo che sia assolutamente vero: la me stessa coreana si muove, parla, si interfaccia con gli altri in modo completamente diverso dalla me italiana, ma sono sempre io. E nonostante tutti i giorni venivo messa davanti alla consapevolezza che comunque ero una straniera, e anche se tutti i miei amici erano stranieri, io lo ero “di più”.

Quando i miei amici giapponesi, taiwanesi, cinesi parlavano in coreano, veniva quasi dato per scontato, se invece io dicevo soltanto annyeong haseo (buon giorno) venivo ricoperta di complimenti “oh ma come parli bene”, “come sei fluente”, … All’inizio era piacevole sentirselo dire, ma a lungo andare, dopo mesi che abiti in Corea (anche se sembrano anni), ti rendi conto che sarai sempre quella diversa che parla coreano. Non è come andare a Londra e poter passare inosservato, sarai comunque sotto gli occhi di tutti, perché sei alta, perché sei formosa, perché sei occidentale, ma sei fluente.

Una volta ero al mercato con una mia amica italiana (nata da genitori coreani) e la stavo aiutando a scegliere dei vestiti perché non parla coreano. La confusione che ha rasentato la rabbia della commessa quando lei si rivolgeva in coreano a Sara, io traducevo e poi rispondevo alle domande, è andata avanti fino a che non siamo andate via. Quella donna non riusciva a venire a capo del fatto che io occidentale sapessi parlare coreano e Sara palesemente coreana all’esterno non sapesse parlarlo.

Ho iniziato a scherzare con i miei compagni di Kumdo coreani sul fatto che io fossi un “uovo”, bianca fuori e gialla dentro e loro hanno subito capito perché anche loro le prime volte che mi hanno vista mi hanno trattata da “straniera” e poi d’un tratto sono diventata coreana ai loro occhi.

Il primo giorno a Kumdo sono arrivata accompagnata da una mia amica americana (half chinese half korean but still 100% american) e non mi hanno considerata ma si sono rivolti tutti a Stephanie, dicendo di essere contenti che volesse iscriversi. Quando abbiamo spiegato che solo io volevo iscrivermi e lei era solo di passaggio il loro atteggiamento è cambiato: sono diventati freddi, mi hanno detto “cambiati di là e vieni in palestra”. Era la mia seconda settimana in Corea e sapevo solo comunicare in maniera estremamente basilare. Alla lezione c’erano molte altre donne straniere, nessuna di loro aveva fatto più di 2 lezioni di kumdo e nessuna di loro parlava coreano. Dopo qualche giorno, ho iniziato a usare la grammatica e i vocaboli imparati la mattina a lezione durante le pratiche. Miglioro nel kumdo, miglioro nel coreano, migliorano le mie interazioni con i Sunbae (superiori), passo il mio tempo con i miei compagni coreani invece che con le ragazze straniere, nessuna delle quali ha fatto un minimo sforzo per integrarsi: non contavano ad alta voce fino a 10 come richiesto, non seguivano l’etichetta, né quella da dojang (palestra) né quella da cortesia coreana. 

Un giorno sento il maestro dire al capitano di portarci fuori a cena dopo lezione “ma solo noi, non gli stranieri”. Ho sentito e capito. Mi sono diretta verso gli spogliatoi quando “Claudia, tu sei coreana, ti va di venire a cena con noi?” sono stata richiamata dal maestro.

È stato bellissimo, è stato come essere abbracciati stretti. Il kumdo è stato anche questo per me: accettazione, mi sono resa conto che comunque non dovevo sopprimere il mio essere italiana, è parte di me, sono “io”. Va bene volersi adeguare e comportarsi in maniera educata, ma ciò che rende me “me” è che sono un uovo, e sono fiera di esserlo. Sono fiera di essere italiana e coreana. Guardandoci dall’estero e dall’esterno ti rendi conto che il nostro paese ha tantissimo da dare, tantissimi problemi certo, ma quale paese non ne ha? 

5 “Cultural Shock” Corea-Italia

  1. 이탈리아인은 삼시세끼를 다르게 먹는다. In Italia i pasti sono divisi in portate

In corea non esiste la differenza tra antipasto, primo ecc. viene messo tutto a tavola, con piccoli piattini personali e ognuno prende dai piatti di portata al centro. Non puoi permetterti di essere schizzinoso, ci si serve anche dalla stessa pentola di zuppa con il proprio cucchiaio personale.

  1. 재채기를 하면 인사를 해준다 Quando uno starnutisce, gli altri rispondono con “salute”
  2. 파스타가 정말 다양하다 ci sono veramente tanti tipi di pasta

Ho cucinato qualche volta la pasta per i miei amici coreani e stranieri in genere e ogni volta dicevo “porto io la pasta”. Mi presentavo sempre con qualcosa di diverso, fusilli, penne, spaghetti, lasagne. Rimanevano tutti particolarmente sconvolti dallo scoprire che in effetti sì, gli spaghetti sono della pasta. Non sono ancora riuscita a capire cosa pensino sia.

  1. 나이, 직위와 관계없이 이름으로 부른다. Ci si chiama per nome, indifferentemente da età, sesso, posizione sociale

In coreano esiste una gerarchia stretta, e la lingua stessa crea le barriere tra un livello e l’altro. Ci sono diversi livelli di parlato, con grammatica, vocaboli, espressioni diverse. Una cosa molto importante quando si conosce qualcuno e sapere se si è coscritti oppure no e in tal caso chi occupa la posizione più alta così da sapere come rivolgersi uno con l’altro. 

  1. “Piano terra” 부터 건물의 층수가 시작한다. I piani dei palazzi si iniziano a contare dal piano terra

Credo sia una cosa estremamente comoda e furba, tant’è che anche io adesso conto a partire dall’1 e non dal piano terra. Poi confondo me stessa e gli altri, ma questa è un’altra storia!

“Cultural Shock” Italia-Corea

  1. Perché negli ascensori c’è un pulsante con scritto F?

In sino-coreano 4 e morte si pronunciano allo stesso modo. Di conseguenza il numero 4 è un po’ come il 17 (VIXI – ho vissuto) oppure il 13 (i commensali all’ultima cena) e porta molta sfortuna. Ecco perché evitano di scrivere 4 negli ascensori.

  1. Ho 30 anni coreani, 29 internazionali (o interi)

In Corea avrai sempre 1 o 2 anni in più rispetto alla tua età reale. I coreani considerano “l’anno” in grembo come il primo anno di vita, quindi appena nato un neonato avrà già un anno e compirà il seguente il primo giorno del nuovo anno lunare, che cambia ogni anno (tendenzialmente cade a febbraio). Se un bambino nasce a gennaio e il Capodanno lunare cade il 3 di febbraio, avrà già 2 anni. Un suo coscritto nato a giugno invece avrà 1 anno fino al Capodanno dopo.

Un modo semplice per ovviare problemi e chiedere “di che anno sei” invece che “quanti anni hai”. È una cosa molto valdostana devo dire visto che noi teniamo molto all’essere coscritti. A me personalmente capita spesso di rispondere “sono del 91” invece che dire “ho xx anni”.

  1. L’etichetta quando si griglia

Quando si va a mangiare Ssamgyeopsal (carne alla griglia) ti portano la carne intera da grigliare sul tavolo e anche decidere chi deve farsi a carico della griglia è un fattore di status sociale. Ad una cena di lavoro, per esempio, se ne occuperà “lo stagista”. Però se chi prende in carico la griglia è “più in alto” di te, sta dimostrando affetto nei tuoi confronti.

Può succedere che qualcuno provi a imboccarti con dei Ssam (involtini di insalata e carne). Anche questo è un gesto di affetto, anche se può essere abbastanza imbarazzante se non si ha confidenza.

  1. La cultura dell’alcol

I Coreani bevono tantissimo (e di conseguenza mangiano tantissimo, perché non si ordina alcol senza ordinare del cibo) Bevono maekju (birra coreana), soju (un distillato di tapioca, patata e cereali) e makkeolli (fermentato di riso). Birra e soju vengono spesso mescolati creando una bomba etilica chiamata somaek, e anche il solo preparare il somaek a tavola, versare o portare l’acol alla bocca sono soggetti a piccoli rituali. Per esempio, se un superiore mi versa dell’alcol devo prendere il bicchiere con due mani e per berlo mi devo voltare dall’altra parte. Con un gruppo di persone strette tutte queste usanze comunque cadono, anzi può essere scortese prendere il bicchiere a due mani perché vuoi distanziarti da chi sta con te.

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  1. Si mangia a “round”

I ristoranti in Corea sono monotematici: ogni ristornate prepara un solo tipo di pietanza, quindi decidere dove andare a mangiare può essere quasi stancante. Non è come qui, che anche andando al ristorante uno può scegliere tra pizza, primo carne o pesce.

Quando si esce per cena si fanno i “round”, cha.

1cha: cena a base di Chimaek (pollo fritto e birra)

2cha: karaoke

3cha: ubriachiamci con del makkeolli

4cha: andiamo ad asciugare l’alcol con della zuppa

5cha: abbiamo mangiato troppo! Andiamo a smaltire in una sala giochi

6cha… e continua così fino allo sfinimento

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